lunedì 17 febbraio 2014

La grande bellezza

Che poi a me "La Grande Bellezza" è piaciuto. (O forse dovrei dire "è piaciuta"?)
L'ho visto tre giorni fa e guada un po'...adesso vince pure il Bafta, l'oscar britannico del cinema. Vi serve altro per capire che porto fortuna e che mi dovete stare vicini?

Che poi io vedo questo film dopo aver letto recensioni e critiche che non si capisce perché dovevano tirare fuori il confronto con Fellini e il suo "La Dolce Vita". Ecco, appunto, perché?
Perché poi, facendo così, ti ritrovi tutti questi titoli che devono per forza puntare sul fatto che 'sta grande bellezza del titolo del film è Roma.

Ma vi siete accorti che questa storia poteva essere ambientata pure a Parigi, a Canicattì o a Montebelluna?

Ecco appunto...la storia. C'è una storia? Sì, c'è.
(Altrimenti avrei detto "No! Trovatene una!" e sto post sarebbe cominciato con un taglio più polemico in direzione regista.)

Invece c'è la storia di un fallimento.
Per cui, se proprio dovete cercate Fellini, pensate prima di tutto a quanto c'è di autobiografico in Amarcord. E anche ne' La Dolce Vita. Ma senza pensare a Roma e con un occhio alla degenerazione della società.
Che puoi trovare a Roma, come a Parigi, a Canicattì e Montebelluna.
E nel film di Fellini tutto si svolgeva negli anni del benessere, del boom economico. Con Sorrentino, tutto si svolge all'ombra della degenerazione del Paese.

Certo, chi ha visto il film potrebbe dire "vorrei fallire pure io così, la casa con la terrazza vista Colosseo, una giacca diversa ogni giorno, una festa a settimana con belle donne che ti desiderano".
Ma cosa c'è di più fallimentare di aver rinunciato ad amare dopo la fine del primo amore, sia esso una donna o un libro?

Vedendo il film, si potrebbe essere ipnotizzati dalla bellezza di questa Roma.
Ma questo film non è per niente un affresco di Roma: Roma è semplicemente una tela su cui un pennello dipinge le figure, le vite e appunto le storie di tanti personaggi meschini, volgari, inutili, tristi.
Il protagonista, Jep Gambardella, si erge su tutti, riesce ad essere superiore agli altri. E ci riesce nonostante alle sue feste si sniffi coca.

E Jep Gambardella è fico. Stacce.


Perché in un'epoca in cui il cattivo lo riconosci subito ("è quello con la sigaretta in bocca"), lui sta lì a stirare il gesto con cui se la accende.
Perché in un mondo di finzione è l'unico che dice in faccia quello che pensa. E quel piedistallo in cui sembra collocarsi viene meno quando trova una persona (la Ferilli, forse l'interpretazione migliore del film) che è altrettanto sincera quanto disincantata.
E perché si commuove. E piange: a volte piange per finta, per fare il numero, come ai funerali, ma piange veramente per le persone care. Che, come gli amici, sono poche, altrimenti non sarebbero tali.

In fondo, come dice Sorrentino in una intervista:
"Giornalista: In lui [Jep Gambardella], però, c’è anche tanta “fame” da provinciale: di vita, di mondanità…Sorrentino: «Sì, è vero. Si è sempre provinciali rispetto a qualcuno e c’è anche tutta una tradizione letteraria che descrive il forestiero che va alla conquista della capitale e come strumento di autodifesa, rispetto a un ambiente estraneo e ostile, utilizza il cinismo. Ma tutti i cinici hanno anche un lato sentimentale molto pronunciato, che nel caso di Jep emerge attraverso il rimpianto della ragazza amata in gioventù. Anche perché di troppo cinismo si muore»."
Ok, non è il film perfetto. L'eccesso di sponsor messi in  primissimo piano (roba che avevo visto in qualche film americano...sarà questo uno dei motivi per cui sembra piacere tanto ai critici d'oltreoceano?) mi è fonte di irrequietezza gastrointestinale. Ma si arriva al collasso della peristalsi nel momento in cui appare Antonello Venditti. E qui mi fermo.
Questi sono i motivi per cui lo sconsiglio, oltre al fatto che se non vi è piaciuto This must be the place...allora basta dire che la sceneggiatura è scritta dalle stesse quattro mani, Sorrentino e Umberto Contarello.
Lo consiglio invece agli amanti del genere "non è mai troppo tardi" e di chi cerca in un film una bella fotografia. E a tutti quelli che vogliono che in un film la verità su ciò che succede non sia raccontata per metafore, ma sia offerta su di un piatto d'argento, senza meditare oltre: se Jep vi dice che era destinato ad essere uno scrittore, allora lo è veramente, nonostante abbia scritto un solo libro.
Meditate piuttosto su quanto, in ogni epoca della nostra vita, possa essere destabilizzante la vita stessa.

E non credo che meriti l'Oscar. Ma purtroppo, potrebbe vincerlo.
Dico purtroppo, perché potrebbe essere premiato da chi ha visto in questo film una Roma che non c'è ma che in tanti hanno voluto vedere per forza, senza nemmeno entrare in sala.

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